Non si dice mai, ma Bach da piccolo era un bambino particolarmente giocherellone, birbante, sfrontato, spesso fuggiva da casa. Al di fuori della passione precoce per la musica e della sua precisione nei compiti che gli venivano assegnati, lo si vedeva correre per la campagna, nei dintorni di Eisenach. Chi non lo ha visto svignarsela, partire, volare via, fermarsi bruscamente, ripartire a rotta di collo, stendersi con le braccia incrociate sul prato, rialzarsi, correre a perdifiato, poi sedersi e meditare a lungo, prima di riprendere le sue giravolte che hanno preoccupato tanto sua madre, non può capire nulla del suo modo di tenere il tempo, o più esattamente di " temporeggiare ", regolare la tempesta e questa atroce storia di crocifissione. Resuscitare le spirali, ecco il viaggio. Ed è ciò che rabbuia il volto del re di Prussia, presso il quale il vecchio Bach è appena giunto. Sono a tavola. Un valletto viene a riferire qualcosa al re. Si alza e dice: " Signori, il vecchio Bach è arrivato ". Allora tutti quanti si alzano, dopo che si è alzato il re. Se ne infischiano, certamente, va messo alla tastiera il vecchio Bach. Non si sa se ha cenato. Ha viaggiato sotto la neve, e deve esibirsi, non è certo lì per mangiare. È proprio questo che rabbuia il volto del re: la gioia sbalorditiva e infantile del vecchio Bach sulla quale il tempo non ha nessuna presa, la sua ininterrotta preghiera, il movimento di perpetua adorazione, in breve il suo amore.
Philippe Sollers, " Les Voyageurs du Temps " ed. Gallimard
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