In un foglietto isolato, non databile, oggi alla biblioteca Jaques Doucet, Baudelaire ha raccontato il crollo di un immensa torre, che un giorno si sarebbe chiamata grattacielo. Provava un senso di impotenza perché non riusciva a trasmettere la notizia alla " gente ", alle " nazioni ". Così doveva contentarsi di sussurrarla ai " più intelligenti ". Ma anche il sussurro dovette aspettare più di un secolo per essere stampato. E nessuno lo notò. Le " nazioni " non fecero in tempo ad accorgersi di che cosa li attendeva. Era tutto accaduto in sogno, in uno di quei sogni a cui Baudelaire era avvezzo: quelli che danno voglia di non dormire più:
" Sintomi di rovina. Edifici immensi. Numerosi, uno sull'altro, appartamenti, camere, templi, gallerie, scale, budelli, belvedere, lanterne, fontane, statue. - Fenditure, crepe. Umidità che proviene da una cisterna situata vicino al cielo. - Come avvertire la gente, le nazioni - ? avvertiamo in un orecchio i più intelligenti. In cima, una colonna cede e le due estremità si spostano. Ancora non è crollato nulla. Non riesco più a ritrovare l'uscita. Scendo, poi risalgo. Una torre labirinto. Non sono mai riuscito a uscire. Abito per sempre un edificio che sta per crollare, un edificio intaccato da una malattia segreta. - Calcolo, dentro di me, per divertirmi, se una massa così prodigiosa di pietre, marmi, statue, muri che stanno per cozzare fra loro saranno molto imbrattati dalla gran quantità di materia cerebrale, di carne umana e di ossa sbriciolate ".
Quando la " notizia " di questo sogno giunse alle " nazioni ", tutto corrispondeva, con una sola aggiunta: le torri erano due - e gemelle.
Roberto Calasso, L'innominabile attuale
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