Juan Ramon Jiménez e Zenobia
Nel 1948 lo buttò. A San Juan di Portorico, dove si era trasferito, teneva un maggiordomo così puntuale che l'orologio non gli serviva più. Ogni giorno quello aspettava pazientemente che il sole si decidesse a calare, entrava compunto nello studio e nel suo strascicato spagnolo gli diceva: "Signore, il crepuscolo".
In dieci anni ne mancò appena uno, ma non fu per distrazione: era uno di quei tramonti che tutti, perfino i poeti, misurano non in minuti ma in lacrime, che altro araldo non conoscono se non la feroce cosa che chiamiamo vita. Era un crepuscolo speciale del 1956, quando, invece che a Stoccolma, dove lo aspettavano per consegnargli il premio Nobel, lui stava affranto al capezzale dell'adorata Zenobia agonizzante.
E. Baroncelli, " Falene 237 vite quasi perfette"
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