È stato Gregory Mazoumian, discendente da una famiglia di imprenditori armeni, che avevano provato a fare fortuna con gli alberghi a Gerusalemme, allora parte della provincia siriana, a mantenere in piedi il Baron Hotel negli ultimi 30 anni. Gregory è morto due mesi fa per un attacco cardiaco lasciando il compito di continuare la missione familiare alla moglie Rubina. La quale tutto è tranne che tentata di gettare la spugna. L'edificio, colpito da un paio di granate " all'inizio degli eventi ", come lei chiama la guerra, ha molti acciacchi visibili e il tarlo del tempo che lavora instancabile. Il bar con i divani di velluto rosso sta perdendo gli intonaci. Acqua e luce elettrica sono razionate come in tutta la città. Ma in aggiunta ha dovuto cedere delle stanze ad alcune famiglie di rifugiati provenienti dai quartieri vicini.
E tuttavia un buon odore di fresco, di pulito accoglie il visitatore nella hall dal pavimento bianco e nero. Al banco del ricevimento un sacco di riso, dono delle Nazioni Unite, aspetta di essere consegnato ai profughi. Una cameriera passa e ripassa il panno bagnato per terra. Rubina aspetta sempre i viaggiatori stranieri che hanno fatto la storia di questo luogo: " Puliamo e manteniamo aperto per eventuali prenotazioni anche soltanto cinque o sei stanze delle trenta che avremmo a disposizione. Il problema è che bisogna arrangiarsi con 50 litri di acqua calda al giorno, ma l'Hotel Baron non può chiudere e non chiuderà mai perché incarna la storia della Siria "
Alberto Stabile
In basso, una foto del conto della stanza 202, quella in più occasioni occupata dall'ufficiale dell'Esercito Britannico Thomas Edward Lawrence, più noto come Lawrence D'Arabia.
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