Il volto si sottrae al possesso, al mio potere. Nella sua epifania, nell'espressione, il sensibile, che è ancora afferrabile, si muta in resistenza totale alla presa. Questo mutamento è possibile solo grazie all'apertura di una nuova dimensione. Infatti la resistenza alla presa non si produce come una resistenza insormontabile, come durezza della roccia contro cui è inutile lo sforzo della mano, come lontananza di una stella nell'immensità dello spazio. L'espressione che il volto introduce nel mondo non sfida la debolezza del mio potere, ma il mio potere di potere. Il volto, ancora cosa tra le cose, apre un varco nella forma che peraltro lo delimita - .... - il volto, che non è del mondo - .... - mi oppone, così, non una forza più grande - un'energia che può essere valutata e che si presenta quindi come se facesse parte di un tutto - ma proprio la trascendenza del suo essere rispetto a questo tutto; non un superlativo qualunque della potenza, ma appunto l'infinito della sua trascendenza.
E. Levinas, Totalità e Infinito. Saggio sull'esteriorità
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