Sono il nipote di una delle vittime provocate dall'amianto negli stabilimenti di Casale e Cavagnolo. Non so quali siano i sentimenti che prevalgono in me. Forse rabbia, forse delusione, certamente la consapevolezza di una giustizia italiana non adeguata, incapace di affrontare una problematica complessa come il disastro ambientale e le migliaia di morti dell'amianto. La prima immagine che ieri mi è comparsa davanti agli occhi è stata quella di mio zio Giovanni, le sue ultime notti all'ospedale attaccato all'ossigeno, il suo desiderio di rimanere vicino ai suoi cari ma nel contempo di porre fine alle sofferenze che lo hanno costretto, per 30 anni, a dormire con tre cuscini dietro la schiena. Me lo rivedo a miscelare a mani nude, senza mascherine, quell'impalpabile polvere che si portava anche a casa, sulle tute blu con la scritta Saca prima, Eternit poi. Oggi porterò un fiore sulla tomba di mio zio, un fiore colorato, di speranza, che contrasti con il grigio della polvere che per anni ha respirato e con il grigio, nebuloso incedere della giustizia italiana.
Giulio Bosso, Bruasco ( Torino )
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