sabato 18 luglio 2020








È nel laboratorio, luogo “ sociale “ di elaborazione e costruzione del sapere, spazio di formazione in cui si aderisce a una tradizione che fornisce l’interpretazione dei “ dati “, che si svela il segreto della scienza: la capacità di sfruttare sistemi che “ rappresentano “ gli elementi del mondo, così da poterli conservare e manipolare, per agire a distanza su di essi. L’odierna tecnoscienza non ha fatto che accrescere la capacità degli scienziati di lavorare con immagini e riproduzioni; le teorie sono mappe, rappresentazioni che rendono conto in via provvisoria dei fenomeni. E per proseguire le ricerche occorre elaborare strategie per mobilitare risorse, trovare aziende disposte a investire, escogitare tecniche retoriche di persuasione per pubblicizzare scoperte e invenzioni o per rendere credibili ricerche dagli esiti ancora incerti. Senza questo lavoro “ impuro “, che si muove nell’incertezza, un fatto non viene accolto dalla comunità: ma un fatto non è all’inizio qualitativamente diverso da una finzione, solo nel corso del processo collettivo di discussione si sedimenta ed assume forza venendo incorporato nel patrimonio scientifico. ( .... ). Se uno scettico volesse aprire la scatola nera delle scienze sarebbe rimandato a una catena che non ha al suo termine la natura, semmai il laboratorio, cioè iscrizioni, rappresentazioni visive, dispositivi di registrazione. Ed è lo scienziato a porsi come portavoce, interprete ufficiale di quanto è leggibile nei grafici e nelle tracce lasciate dall’esperimento.






Mario Porro, La guerra dei microbi
doppiozero.com

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