mercoledì 29 aprile 2020




Mont Saint Michel ieri sera alle 18..


Foto di Philippe Meunier



A destra la luce fisica del tramonto che incendia con un ultimo raggio il Santuario.
Il Santuario che proietta quel raggio verticalmente nella tenebra disegnando in quell’oscurità una ellissi luminosa. 

Esiste modo migliore per descrivere la scena attuale del nostro mondo e allo stesso tempo farci dono di un messaggio di speranza altrettanto efficace?

vincent 

martedì 21 aprile 2020








“ Il nemico “ ha cancellato i volti dei nostri vecchi.
Se ne occupa la Magistratura. I media ci spiegano che tutto ciò è inammissibile.
Bene. Ma cosa erano questi vecchi? Una moltitudine di malati, di abbandonati, di sconfitti.
Una moltitudine invisibile.
Fate rimbalzare questo pensiero, ed ecco che la scena si anima di un’altra folla: non sono più dei vecchi, li chiamiamo “ persone in età “, sono gli evergreen della pubblicità, i forzati del benessere occupati a rendere invisibile la loro vecchiaia.
G. Marrone giustamente parla di “ Obbedienza ai modelli sociali di bellezza standardizzata “.
Parlo di noi che, magari per un banale problema alla protesi, o anche solo perché abbiamo esaurito la tintura per i capelli, improvvisamente deprivati dei nostri trucchi utili ad ingannare il tempo, ci troviamo ad affrontare i segni del decadimento.
Certo che siamo vittime.
Ma vittime molto indaffarate.
Completamente assorbite dal compito di far sparire dall’orizzonte degli eventi la morte.
E se fosse stata questa sistematica rimozione a scatenare nei media l’irruzione massiva di immagini di morte? Assenza della morte è assenza dell’orizzonte.
E chi non ha un’orizzonte viene privato del significato ultimo della sua vita.
La morte - si trema nel dirlo - è l’unico evento reale della vita.
Se facciamo sparire la morte, cancelliamo la vita.
L’essere della Natura ha dato alla morte il potere di generare all’infinito vita.
La sparizione della morte disperde la vita nel nulla. Nel nulla dell’abbandono in una casa di riposo.
Nel nulla dell’illusione di fermare il tempo.
La dignità i vecchi se la conquistano con la piena coscienza del loro morire.
Per non essere sovrastati dal terrore della morte abbiamo urgenza di pensare il nostro morire.
Non sto dicendo che dovremmo “ pianificarlo “, come si trattasse di un viaggio.
Non si tratta di organizzare un viaggio, si tratta piuttosto di essere quel viaggio.
Nella poderosa scena della pandemia il “ nemico “ è tale e ci terrorizza in quanto evoca l’evento innominabile, l’innnominabile nemica che chiamiamo morte.
È da questa innominata che assume tutto il suo potere.
Da questo magma irrisolto che in noi chiede la parola.
Linea dell’orizzonte, sostanza di desiderio che vuole essere nominata.
Provare a pensare il proprio morire: compito eroico.
Provare a pensare il proprio morire: compito erotico.
Non la morte mi compete, mi compete il mio morire.
La morte, quella che colpisce l’indistinto della massa umana, è “ la livella “; si, ve la ricordate la poesia di Totò? Il morire riguarda la mia vita, il mio stile inconfondibile, la mia unicità.
Utilizzando metafore belliche, usando termini come trincea, eroe, scontro, amico-nemico, non facciamo che trasferire il conflitto fuori di noi.
Sia coloro che, per superficialità o magari calcolo, addossano la colpa della pandemia a quel mostriciattolo del virus, sia l’altra parte, magari più accorta, chissà, che al contrario sceglie di mettere in evidenza le pesanti responsabilità del potere costituito, tutti stiamo subendo la tentazione di proiettare il dramma da qualche altra parte, virus o società che sia.
Vedete, il dinamismo mutageno che il virus dimostra di possedere è molto interessante.
Dovremmo prenderlo a modello.
Provare in qualche modo a dimostrargli di essere alla sua altezza.
Sì, perché se proprio vogliamo considerarci in guerra, allora la cosa più intelligente è conoscere la natura e la tattica del “ nemico “.
Domanda: Il dinamismo e la capacità di mutare, potrebbe essere questo il nostro problema?
E questo orizzonte che sta svanendo, questo nostro morire che non riceve alimento dai pensieri, è questo il vuoto che prova a colmare la pandemia?


Finisco con i versi di Francisco G. De Quevedo, che su questo tema, evidentemente, ha riflettuto.



Un’anima che ha avuto un dio per carcere,
vene che a tanto fuoco han dato umore,
midollo che è gloriosamente arso,
il corpo lasceranno, non l’ardore;
anche in cenere avranno un sentimento;
saran cenere,
ma cenere innamorata.



vincent 




venerdì 17 aprile 2020







Quello che mi colpisce nelle videochiamate è l’incapacità di guardarsi negli occhi. Gli occhi della persona che ci parla sono spesso centrati in un altro punto: a volte mi rendo conto che faccio uno sforzo quasi fisico per poterli captare, altre volte continuo a guardarmi nello schermo, invece di porre l’attenzione sull’interlocutore. Perché è totalmente nuovo, almeno penso per quelli della mia età, entrare in relazione con gli altri senza dimenticarsi un po’ di se stessi. Invece la possibilità di avere uno sguardo realmente “ esterno “ su di noi, mentre interagiamo con gli altri, credo che falsi tutto. 
In queste situazioni mi manca “ l’idea di me “ che mi accompagna costantemente, e non è un’idea realistica, quanto una percezione interna. Io sono io, contengo in me l’idea che ho di me, sono certamente più giovane, più magra, più vivace di quanto lo sia in realtà. Quando mi rivedo nelle foto mi stupisco sempre per quanta sia la discrepanza su come mi percepisco io e come - poi - mi ritrovo e  spesso non mi riconosco. ( ....) Perdo l’aggancio con lo sguardo altrui, tengo l’attenzione sul mio aspetto, non sulle mie emozioni, inciampo sui tempi. Saltano i tempi dialogici, quelli imparati quando stavamo sdraiati con i capelli della mamma che ci cadevano sul viso, occhi negli occhi con lei, tesi a rispondere a ogni sorriso, a ogni gorgheggio.




Laura Ciapetti






“ Non ci sarà bisogno di introdurre l’obbligo per il vaccino contro il coronavirus perché la gente ha sperimentato cosa significa avere paura di una malattia “.



Walter Ricciardi, componente OMS e consigliere del ministro Speranza



Servono commenti?
Mi ricorda lo slogan sciagurato di alcuni gruppi armati degli anni '70:
" Colpirne uno per educarne cento "


vincent

martedì 14 aprile 2020









L’ultimo, e smetto. Sto diventando un po’ tecnico, ma questo è importante. Questo era il tocco che la rendeva un capolavoro di “ volupté “. Consuela è una delle poche donne che ho conosciuto che vengono spingendo la vulva in fuori, spingendola in fuori involontariamente come il corpo tenero, indiviso e schiumante di un mollusco. La prima volta fu una sorpresa. La tocchi e ti sembra una cosa dell’altro mondo, una creatura che viene dal mare. Come se fosse imparentata con l’ostrica o la piovra o il calamaro, un essere che vive a miglia e miglia di profondità e che risale a chissà quanti eoni fa. Normalmente tu vedi la vagina e la puoi aprire con le mani, ma nel suo caso sbocciava come un fiore, quella figa che da sola emergeva dal suo nascondiglio. Le labbra interne venivano estroflesse, si gonfiavano verso l’esterno, e quel turgore viscido e setoso è molto eccitante, stimolante da toccare e da vedere. Schiele avrebbe dato un occhio della testa per dipingerla. Picasso l’avrebbe trasformata in una chitarra.




Philip Roth, L’animale morente

domenica 12 aprile 2020







Un uomo solo in una piazza vuota.
È benefico il vuoto.
Lo Spirito opera nel vuoto.



vincent 

sabato 11 aprile 2020







Ho notato un parallelismo tra due opposte imposizioni.
Da una parte la costrizione per i nuclei familiari a convivere: “ Vivere così è faticoso, contro natura. La coppia rischia di andare allo scontro o, all’opposto, di trasformarsi in una triste SPA di mutuo soccorso. Compagni di cella. “ Così Paolo Rumiz dal suo diario della quarantena.
Dalla parte opposta la condizione, anch’essa obbligata, di solitudine di persone che, sull’orlo di un precipizio, molto amerebbero essere accompagnate.
Tra le mura domestiche si sperimenta nelle sue estreme conseguenze la contraddizione moderna tra i legami di sangue e il diritto alla libera realizzazione del singolo, alla sua irredimibile unicità.
Nelle corsie ospedaliere, al contrario, l’assenza dei familiari rimanda la cura e i gesti di affetto delle ultime ore a degli “ estranei “.
Sembra proprio che alla comunanza “ naturale “ che viene ormai costretta in uno spazio ristretto dove è sempre più difficile respirare vada sostituendosi - al momento per un obbligo parallelo - una comunità - i malati, i medici, gli infermieri, gli addetti alla pulizia - che di giorno in giorno apprende a gestire il dramma animata da una fantasia morale che è sempre più rara da trovare nell’ambito dei legami familiari. Tutto questo, ci mancherebbe, avviene con mille contraddizioni.
Ma volendo inserire questi contesti in un rapporto, lo farei usando categorie di tempo.
Il primo quadro, quello delle famiglie costrette ai domiciliari, mi sa di passato.
Le trincee della terapia intensiva hanno l’urgenza del presente.
I morenti che si apprestano a varcare il mistero della soglia in solitudine o tenuti per mano da un perfetto estraneo indicano il futuro.
I legami di consanguineità, nel nostro tempo, fanno ormai parte del pandemonio. 
Non è così strano che la pandemia se ne stia occupando.
E d’altra parte, ormai più di duemila anni fa, Matteo il gabelliere, nel Vangelo che porta il suo nome riferisce queste parole: 
“ Non crediate che Io sia venuto a portare pace sulla Terra; sono venuto a portare non pace, ma una spada. Sono venuto infatti a separare il figlio dal padre, la figlia dalla madre, la nuora dalla suocera: i nemici dell’uomo saranno quelli della sua casa “
Matteo 10,34 - 36




vincent

martedì 7 aprile 2020






Si parlava di terreno.
Ecco, un terreno compromesso,fragile, arriva come disperato ultimo tentativo a servirsi dei virus per risanarsi. I virus sono definiti dei “ microbioti “: talmente minuscoli da poter entrare in una cellula, se è necessario il nostro organismo può decidere di utilizzarli per liberarsi di tossine.
Questo processo depurativo comporta sintomi. Talvolta anche gravi.
Ma è importante sapere che tutto ciò che, insieme ai virus, noi eliminiamo verso lo spazio esterno libera il terreno e prova a restituire al malato l’integrità perduta.
Non è difficile capire che le varie terapie sintomatiche con antifebbrili, antinfiammatori, antibiotici,antivirali, sopprimendo dei sintomi, non fanno altro che complicare o peggio inibire ciò che l’intelligenza biologica intende portare a compimento: la restituzione del terreno alla sua integrità. La medicina “ moderna “ eccelle per la sua tecnica.
Ma troppo spesso è una tecnica finalizzata alla soppressione di sintomi.
L’autentica Arte Medica vigila e accompagna.
E più di tutto indaga la realtà dei fattori sociali.
Studia il rapporto tra epidemiologia ed economia politica.
E accetta la sfida che consiste nel dover contrastare enormi interessi economici.
Se il nostro umile microbiota chiamato coronavirus viene ormai descritto come il mostriciattolo venuto a rovinarci la vita, è perché risulta il capro espiatorio perfetto per occultare le reali cause del pandemonio.
La produzione industriale intensiva di proteine animali segue ormai il modello della diffusione metastatica dei carcinomi.
Di questo passo si renderà obbligatorio l’affare del secolo: vaccinare l’Umanità intera!
Un’alternativa ci sarebbe: potremmo decidere di vaccinarci con dosi progressive di Umanesimo.
Ma è gratis, non ci si fanno profitti, non ci vuole la palla di vetro per indovinare come finirà.
È illuminante a questo proposito una frase di Margaret Thatcher: 
“ L’economia è il metodo, l’obiettivo è cambiare l’anima “
Laddove Rudolf Steiner affermava che, pena la distruzione del tessuto sociale, il principio ispiratore di ogni economia doveva essere la fratellanza,Margaret Thatcher suggerisce che il modo migliore per seminare e far fruttificare nell’anima umana la pianta dell’egoismo è la pratica del liberismo selvaggio. Non si può certo accusarla di ambiguità.
C'è chi ha definito l'attuale pandemia un grande pettine dove progressivamente ritroviamo tutti i nodi irrisolti della nostra epoca.
" Affrontiamo un patogeno dolorosamente virtuoso "
La frase è di Angel Luis Lara. Non si poteva dire meglio.



vincent

alla prossima.. 






Una tigre è risultata positiva al coronavirus, nello zoo del Bronx.
Al momento è l’unico caso al mondo in cui non ci sia stato bisogno di imporre il distanziamento sociale.




Sebastiano Messina

Dr. Thomas Cowan / radiazioni elettromagnetiche, coronavirus, rete 5G / ...

venerdì 3 aprile 2020








La domanda era: 
Siamo sicuri che dipenda tutto da questo micro-beota a forma di pianetino dal ghigno malefico?
O, come al solito, questa è l’ennesima riprova - manco ce ne fosse bisogno - che quando il gioco si fa duro noi umani, con un automatismo perfettamente collaudato nei secoli, rispondiamo procurandoci un “ capro “. Un nemico utile. Lo usiamo per poter glorificare l’eroismo di alcuni di noi che in tempi normali sfruttiamo e sottopaghiamo. E poi ci serve perché ci affratella, perché per sentirci popolo amiamo ancora rivolgerci alla vuota retorica della guerra.
Ma allora perché molti di noi ci convivono col micro-beota?
O magari se la cavano con banali sintomi da raffreddore?
Perché esiste il Terreno!
E il Terreno- argomento di conversazione quasi proibito- è l'elemento decisivo.
Perché, in questa orgia di dati numerici, introduce il grande assente: la Qualità.
E, si sa, di qualità è molto più difficile parlare.
Facile, ascoltando il bollettino quotidiano dei decessi, precipitare nello sconforto: la tempesta, quando si scatena è a caso che assesta i suoi fendenti, chi ci assicura che i prossimi non siamo noi?
Nessuno. 
Ma c'è un'immagine che ci può venire in aiuto, una bella immagine che ha il potere di sottrarci dal precipitare nell'indistinto del terrore: penso a quella in cui il Risorto appare a Maria di Magdala e lei pensa che sia un giardiniere -in un dipinto di Charles de la Fosse il Risorto tiene in mano una vanga- Solo i bravi giardinieri sanno che il segreto per essere ripagati dalla fatica è la cura del terreno.
Tutti gli altri inutilmente s'affannano con concimi chimici e pesticidi.
Il fatto è che siamo esseri unici e irripetibili.
Alcuni di noi hanno terreni ricchi di humus, come prati concimati dalle vacche.
Altri li hanno devastati da cicli insensati di monocultura.  
Nel mezzo ci siamo tutti noi, tutte le possibili e immaginabili variazioni sul tema.
Ce lo dovremmo appuntare su un francobollo di carta e portarlo sempre con noi:
" Sono un Soggetto di Qualità, non sono un oggetto da bombardare con numeri da statistica "
o, se preferite, " Sono un Creatore di Luce ".
Quelli che si intendono di vino lo sanno benissimo: 
il vino si fa col terreno. E sono capaci di descrivere tanti e tanti diversi " umori " del loro vino.
E sanno che tutti quegli " umori " intrecciano relazioni finissime con le caratteristiche del loro terreno. Non è stato forse il Solare-Divino incarnato nell'uomo di Palestina a dire:
" Io sono la vite, voi siete i tralci "

E se la pandemia fosse venuta per provare a sanare il pandemonio?
Se le rasoiate virali che stanno abolendo le cerimonie degli addii fossero inferte per la nostra guarigione? Non sto alludendo a colpe da espiare.
Penso piuttosto ad accadimenti di rara potenza, a drammi che portiamo da anni nelle 
nostre anime e che forse solo ora trovano il modo di essere rappresentate.


ne riparliamo..

vincent        

giovedì 2 aprile 2020








“ Se saprai confrontarti con Trionfo e Rovina
e trattare allo stesso modo questi due impostori “



Dalla poesia “ If “ di Kipling, sulla porta d’ingresso del Centrale di Wimbledon 
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