venerdì 29 giugno 2018






Grazie al medium digitale oggi produciamo enormi quantità di immagini. Anche questa massiccia produzione di immagini può essere interpretata come una reazione di difesa e fuga. Il delirio dell'ottimizzazione investe oggi pure la produzione di immagini: davanti alla realtà, percepita come imperfetta, ci rifugiamo nelle immagini. Non si tratta di religioni, ma di tecniche dell'ottimizzazione, con l'aiuto delle quali ci opponiamo alla fatticità come il corpo, il tempo, la morte ecc. Il medium digitale è " defatticizzante ".
Tale medium non ha età, destino e morte. In esso il tempo stesso è "congelato ": è un medium senza tempo. Il medium analogico, invece, " soffre il tempo ". La sua forma espressiva è la " passione ":

Non solo essa - la foto - condivide la sorte della carta - è deperibile -, ma anche se è fissata su dei supporti più solidi, è pur sempre mortale: come un organismo vivente, essa nasce dai granuli d'argento che germinano, fiorisce un attimo, poi subito invecchia. Attaccata dalla luce e dall'umidità, essa impallidisce, si attenua, svanisce.

Barthes collega la fotografia analogica a un'altra forma di vita per la quale è costitutiva la " negatività del tempo "; l'immagine digitale, il medium digitale, invece, si accompagna a una diversa forma di vita, dalla quale sono cancellati tanto il divenire quanto l'invecchiare, tanto la nascita quanto la morte. Essa è caratterizzata da una presenza e da un presente permanenti: l'immagine digitale non sboccia né risplende, perché nello sbocciare è iscritta la negatività dell'appassire, nello splendore la negatività dell'ombra.



Byung-Chul Han, Nello sciame   

mercoledì 27 giugno 2018







La parola " tieni ", ad esempio, è un'azione: vuol dire tienimi, tieni la mia mano, non lasciarmi affogare, tienimi in Europa. O " ancoraggio ": c'è dentro il coraggio e l'accoglienza, oggi che ogni porto sicuro è un morto sicuro, in nome della razza. Ma l'unica razza che io conosco è un pesce.



Alessandro Bergonzoni  





Mi piace che siete malato ma non di me,
mi piace che io sono malata ma non di voi,
che mai la pesante sfera terrestre
scivolerebbe sotto i nostri piedi.
Mi piace che si può essere spiritosa -
Indisciplinata - e non giocare con le parole
e non arrossire per una asfissiante ondata
toccandosi con le maniche con leggerezza.

Mi piace anche che voi in mia presenza
abbracciate tranquillamente un'altra,
non condannatemi a bruciare 
nel fuoco dell'inferno perché non vi bacio,
perché il mio tenero nome, mio caro, non
menzionate né di giorno né di notte - invano...
Perché nel silenzio di una chiesa
non canteranno mai sopra di noi " alleluia! "

Grazie a voi col cuore e con la mano
perché voi - senza neanche saperlo! -
mi amate così tanto: per la mia quiete notturna,
per la rarità degli incontri nelle ore del tramonto,
per le nostre non passeggiate sotto la luna,
per il sole non sulle nostre teste,
perché voi siete malato - purtroppo - non di me,
perché io sono malata - purtroppo - non di voi.



Marina Ivanovna Cvetaeva

martedì 26 giugno 2018




Foto di David Goldblatt 

S.O.S. salvateci dal nostro ministro dell'Interno!







Lo S.O.S. in Morse - tre punti, tre linee, tre punti - è un messaggio ispirato e folgorante, reso banale dall'uso, logorato dall'abuso, ma formidabile concentrazione in una sigla di ogni possibile grido umano. E Save Our Souls è Bibbia di re Giacomo: quasi certamente proviene dai Salmi, ma non so ritrovare, così a testoni, il versetto d'origine. Dunque è molto antico, viene e va lontano: l'Authorized Version traduce alla lettera " anime ", ma in biblico il significato è " vite ". Il grido è rivolto a Dio, che abbiamo materializzato nel marconista ricevente, in posti d'ascolto. Al grido segue l'attesa del soccorso dal mare o dall'aria, la mano che lo batte è contratta sul tasto, finalmente qualcuno risponde, il grido è ripetuto, si allarga all'universo...


da una lettera di Guido Ceronetti al quotidiano "La Repubblica " del febbraio 1997 


    


giovedì 21 giugno 2018

Indulgere Genio





Vi è un'espressione latina che esprime meravigliosamente il segreto rapporto che ciascuno deve saper intrattenere con il proprio Genius: " Indulgere Genio ". A Genius bisogna accondiscendere e abbandonarsi, a Genius dobbiamo concedere tutto quello che ci chiede, perché la sua esigenza è la nostra esigenza, la sua felicità la nostra felicità. Anche se le sue - le nostre! - pretese possono sembrare sragionevoli e capricciose, è bene accettarle senza discutere. Se, per scrivere, avete -  ha! - bisogno di quella carta giallina, di quella penna speciale, se ci vuole proprio quella luce fioca che spiove da sinistra, è inutile dirsi che qualunque penna fa il suo mestiere, che ogni carta e ogni luce sono buone. Se senza quella camicetta di lino celeste - per carità, non la bianca con quel colletto da impiegato! - non vale la pena di vivere, se senza quelle sigarette lunghe con la carta nera non ve la sentite proprio di andare avanti, non serve ripetersi che sono soltanto manie, che sarebbe ora di mettere giudizio. " Genium suum defraudare ", frodare il proprio genio, significa in latino: rendersi triste la vita, imbrogliare se stessi. E " genialis ", geniale è la vita che allontana lo sguardo dalla morte e risponde senza esitare alla spinta del genio che lo ha generato.  


Giorgio Agamben, Profanazioni

lunedì 18 giugno 2018






So perfettamente che a volte è necessario trasformare aree di mercato in campi di battaglia, affinché questi ultimi possano ridiventare aree di mercato. Ma un brutto giorno ci si vede più chiaro e ci si chiede se sia davvero giusto essere così determinati nel non mancare neppure di un passo il cammino che allontana da Dio; e se davvero l'eterno mistero da cui l'uomo proviene, e quello verso il quale l'uomo procede, racchiudano soltanto un segreto commerciale, che conferisce all'uomo superiorità sull'uomo e addirittura sul creatore dell'uomo. 


Karl Kraus, In questa grande epoca

sabato 16 giugno 2018





Adesso sembra sbarcato dalla luna, quell'avvocato Lanzalone perfetto per incarnare la continuità dell'affarismo che prospera intatto e inestirpabile sotto l'ombra della politica tangentista e dell'imprenditorialità malata, nonostante il cambio dei governi, delle classi dirigenti, delle amministrazioni. Nessuno lo conosceva, e se lo conoscevano stanno comunque chiudendo in fretta porte e finestre delle stanze che frequentava con abituale disinvoltura: in modo da disattivarlo, come un qualsiasi burattino a cui hanno tagliato i fili.


Ezio Mauro 

lunedì 11 giugno 2018





Sapete che cosa fa lo scarabeo: prende una pallina di escrementi, la forma perfettamente rotonda e la spinge con le zampe posteriori fin dentro al proprio piccolo nido nella sabbia. Il gesto dello scarabeo di costruire una sfera perfetta e di spingerla, magari in salita, sulla sabbia con le sue zampette suscitò nella mente dell'egizio l'immagine che questa pallina si potesse benissimo paragonare al Sole e lo scarabeo che la muove, la fa rotolare, fosse l'immagine della forza che muove il Sole. Il Sole è come una pallina che gira e si muove nel cielo, ma chi la muove? Chi la spinge? La spinge uno scarabeo celeste, un elemento divino che è la vera forza del Sole, il vero Sole. Lo scarabeo era sacro perché immagine della forza che fa muovere nello spazio le sfere celesti. Questo ha il carattere di un'immagine primitiva a cui oggi potrebbe corrispondere un'intuizione di tipo spirituale: quando io guardo una cosa vedo ciò che la fa essere.


Giuseppe Leonelli

domenica 3 giugno 2018




Foto di Franco Pagetti






Canzonette mortali


Io che ho sempre adorato le spoglie del futuro
e solo del futuro, di nient'altro
ho qualche volta nostalgia
ricordo adesso con spavento
quando alle mie carezze smetterai di bagnarti,
quando dal mio piacere
sarai divisa e forse per bellezza
d'essere tanto amata o per dolcezza
d'avermi amato
farai finta lo stesso di godere.

Le volte che è con furia
che nel tuo ventre cerco la mia gioia
è perché, amore, so che più di tanto
non avrà tempo il tempo
di scorrere equamente per noi due
e che solo in un sogno o dalla corsa
del tempo buttandomi giù prima
posso fare che un giorno tu non voglia
da un altro amore credere l'amore.

Un giorno o l'altro ti lascio, un giorno
dopo l'altro ti lascio, anima mia.
Per gelosia di vecchio, per paura
di perderti - o perché
avrò smesso di vivere, soltanto.
Però sto fermo, intanto,
come sta fermo un ramo
su cui sta fermo un passero, m'incanto...

Non questa volta, non ancora.
Quando ci scivoliamo dalle braccia
è solo per cercare un altro abbraccio,
quello del sonno, della calma - e c'è
come fosse per sempre
da pensare al riposo della spalla,
da aver riguardo per i tuoi capelli.

Meglio che tu non sappia
con che preghiere m'addormento, quali
parole borbottando
nel quarto muto della gola
per non farmi squartare un'altra volta
dall'avido sonno indovino.

Il cuore che non dorme
dice al cuore che dorme: Abbi paura.
Ma io non sono il mio cuore, non ascolto
né do la sorte, so bene mancarti,
non perderti, era l'ultima sventura.

Ti muovi nel sonno. Non girarti,
non vedermi vicino e senza luce!
Occhio per occhio, parola per parola,
sto ripassando la parte della vita.

Penso se avrò il coraggio
di tacere, sorridere, guardarti
che mi guardi morire.

Solo questo domando: esserti sempre,
per quanto tu mi sei cara, leggero.

Ti giri nel sonno, in un sogno, a poca luce.



Giovanni Raboni   

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