lunedì 19 novembre 2012

il battaglione Maori a Montecassino






Cassino, una mattina di pioggia del '44. I guerrieri Maori sono disposti a semicerchio, secondo la tradizione, hanno cominciato a gonfiare le guance come rospi, a strabuzzare gli occhi, a sbuffare emettendo gemiti inquietanti. A contorcere il viso in un delirio di espressioni indemoniate, mostrando la lingua ed entrando in una sorta di trance. E tutto è cominciato. Un urlo: " Ka mate! Ka ora!" ( È la morte!  È la vita! ). All'unisono si sono battuti il petto, hanno piegato le gambe e picchiato i piedi per terra, stretto i pugni, contratto i muscoli. Hanno alzato le braccia verso il cielo, invocando i loro idoli prima di un'altra battaglia. Terminato il rito, i guerrieri hanno imbracciato i fucili con le baionette e risalito il colle sulle macerie di Cassino, incuranti delle cannonate dei tank della decima armata tedesca. ( .....) Montecassino, la seconda battaglia del 17 febbraio per conquistare la stazione ferroviaria. Il capitano Matarehua Wikiriwhi, quello che dicono guidasse la haka e che alla fine avrà una gamba amputata - quando tutto sarà finito tornerà a casa dal capo tribù, Takarma Tamarau, per dirgli che suo figlio Hori gli aveva salvato la vita proteggendolo col corpo dal fuoco nemico- che chiede ai suoi uomini di tornare indietro: " Non possiamo combattere i carri armati con le baionette!", ma quelli non vogliono sentir ragioni. La terza e la quarta battaglia. La vittoria finale, ad un prezzo altissimo: 340 uomini del battaglione Maori muoiono, altri 1200 rimangono feriti. I superstiti, dopo tanti mesi, si concedono il primo Hangi, il pranzo tradizionale: carne e tuberi stufati.


Massimo Calandri 








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