lunedì 17 febbraio 2014





La definizione più appropriata di ciò che sono l'urbe e la polis somiglia a quella che scherzosamente si dà del cannone: si prenda un foro, lo si circondi di fil di ferro molto fitto, ed ecco un cannone. Allo stesso modo, l'urbe o la polis nasce da un vuoto: il foro, l'agorà; e tutto il resto è pretesto per garantire questo vuoto, per delimitare il suo perimetro. La polis non è originariamente un aggregato di case, ma un luogo di civile adunanza, uno spazio circoscritto per funzioni pubbliche. L'urbe non è fatta come una capanna o la domus, per ripararsi dalle intemperie e per procreare, ossia per necessità private o familiari, ma per discutere intorno agli affari pubblici. Tutto questo significa, si badi bene, l'apparizione di una nuova categoria di spazio, molto più originale dello spazio di Einstein. Prima esisteva soltanto uno spazio, la campagna, e in esso si viveva con tutte le conseguenze che ciò comporta per l'esistenza umana. L'uomo rurale è come un vegetale. La sua esistenza, quel che pensa, sente, vuole conserva il torpore incosciente in cui vive la pianta. Le grandi civiltà asiatiche e africane sono state, in questo senso, grandi vegetazioni antropomorfiche. Ma il greco-romano decide di separarsi dalla terra, dalla " natura" del cosmo geobotanico. Com'è possibile? Come può l'uomo ritirarsi dalla campagna? Dove andrà, se la terra è campagna, se la campagna è illimitata? È semplice: circoscrivendo un tratto di terreno mediante mura che oppongano lo spazio delimitato e finito allo spazio amorfo e senza fine. Ecco allora la piazza. Non è, come la casa, un "interno" chiuso in alto, analogo alle grotte che esistono nella campagna, ma è puramente e semplicemente la negazione stessa della campagna. La piazza, mercé le mura che la delimitano, è una parte di campagna che si distacca dal resto, che prescinde dal resto, che si contrappone a esso. Questo terreno più piccolo e ribelle, che realizza una secessione dalla campagna infinita e si chiude in se stesso contrapponendosi a essa, è campagna negata, e dunque uno spazio sui generis, nuovissimo, in cui l'uomo si affranca da ogni comunione con la pianta e l'animale, li lascia fuori e crea un ambito a parte puramente umano. È lo spazio civile.     


José Ortega Y Gasset



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