Una delle primissime parole indiane entrate nella lingua inglese fu il termine gergale hindustani per “ bottino “: loot. Secondo l’Oxford English Dictionary questo lemma era usato raramente al di fuori delle pianure dell’India del Nord fino alla fine del diciottesimo secolo, allorché si diffuse improvvisamente in tutta la Gran Bretagna. Per comprendere come e perché attecchì e prosperò in un terreno così remoto è sufficiente visitare Powis Castle, nelle Marche Gallesi.
L’ultimo principe ereditario del Galles, dal memorabile nome di Owain Gruffydd ap Gwenwynwyn, fece costruire il forte dirupato di Powis Castle nel tredicesimo secolo; la tenuta era la sua ricompensa per aver rinunciato al Galles in favore della monarchia inglese. Ma i suoi tesori più spettacolari risalgono a una data assai posteriore, al periodo delle conquiste coloniali britanniche.
Powis Castle, infatti, è semplicemente stracolmo di bottino indiano: le sue stanze traboccano di spoglie imperiali estorte nel diciottesimo secolo dalla Compagnia delle Indie Orientali. Vi sono più manufatti moghul accatastati in questa villa privata nella campagna gallese che esposti in qualsiasi luogo dell’India - incluso il National Museum di Delhi. I tesori comprendono huqqa di oro brunito intarsiati di ebano imporporato; spinelli del Badakhshan e pugnali ingioiellati superbamente incisi; rubini scintillanti color sangue di piccione e manciate di smeraldi verde lucertola. Vi sono teste di tigre incastonate con zaffiri e topazi gialli; ornamenti di giada e d’avorio; paramenti di seta ricamati con papaveri e loti; statue di divinità indù e bardature per elefanti. Nel posto d’onore spiccano due grandi trofei di guerra, sottratti ai loro proprietari sconfitti e uccisi: il palanchino che Siraj ud-Daula, il nawab del Bengala, lasciò dietro di sé quando fuggì dal campo di battaglia di Plassey, e la tenda militare di Tipu Sultan, la Tigre del Mysore.
Tale è l’abbaglio di quei tesori che, quando li visitai l’estate scorsa, mi lasciai quasi sfuggire l’immensa tela incorniciata che illustra il modo in cui quell’enorme bottino finì per ritrovarsi lì. Il quadro è appeso nella penombra, sopra l’uscio di una stanza in legno, al sommo di una buia scalinata in pannelli di rovere. Non è un capolavoro, ma ripaga un attento scrutinio.
Un principe indiano decaduto, vestito in abiti d’oro, è assiso su un alto trono sotto un padiglione di seta. Alla sua sinistra stanno gli ufficiali del suo esercito, armati di scimitarre e lance; alla sua destra, un gruppo di gentiluomini impomatati e imparruccati stile Giorgio III. Il principe sta consegnando con entusiasmo un rotolo di pergamena nelle mani di un inglese leggermente sovrappeso in finanziera rossa.
La scena ritratta nel dipinto risale all’agosto 1765…continua..
Tratto da: “ Anarchia “ di William Dalrymple
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