La scena ritratta nel dipinto risale all’agosto del 1765, quando il giovane imperatore moghul Shah Alam, esiliato da Delhi e sconfitto dalle truppe della Compagnia delle Indie Orientali, fu costretto a quella che oggi chiameremmo una privatizzazione forzata. La pergamena recava l’ordine di licenziare i suoi stessi esattori fiscali in Bengala, Bihar e Orissa e sostituirli con una squadra di mercanti inglesi nominati da Robert Clive - il nuovo governatore del Bengala - e dai direttori della Compagnia, descritti dal documento come “ i sommi e potenti, i più nobili tra i grandi nobili, i capi di illustri guerrieri, i nostri fedeli servitori e sinceri sostenitori, degni dei nostri regali favori: la Compagnia inglese “. La riscossione delle imposte dei Moghul fu da allora subappaltata a una potente multinazionale - le cui operazioni di esazione fiscale erano protette dal suo stesso esercito privato.
La Compagnia era autorizzata dalla sua patente costitutiva a “ muovere guerra “, e aveva usato la forza per perseguire i suoi scopi fin da quando, nel 1602, aveva arrembato e catturato un vascello portoghese nel suo viaggio inaugurale. Inoltre, controllava piccole aree circostanti i suoi insediamenti indiani sin dagli anni trenta del seicento. Ciononostante, il 1765 fu l’anno in cui la Compagnia delle Indie Orientali cessò di somigliare anche lontanamente a un’impresa mercantile convenzionale, commerciante in sete e spezie, per tramutarsi in qualcosa di assai più insolito. Nel giro di pochi mesi, i suoi duecentocinquanta impiegati, sostenuti da un esercito di ventimila soldati indiani reclutati in loco, erano diventati i governanti effettivi delle più ricche province moghul. Una società dí capitali multinazionale era in procinto di trasformarsi in una aggressiva potenza coloniale.
Nel 1803, quando l’esercito privato della Compagnia contava quasi duecentomila uomini, essa aveva già rapidamente sottomesso o direttamente annesso un intero subcontinente. Incredibilmente vi riuscì in meno di mezzo secolo. Le prime conquiste territoriali vere e proprie erano iniziate nel Bengala nel 1756; quarantasette anni dopo, il braccio della Compagnia si estendeva a nord fino a Delhi, la capitale moghul, e quasi tutta l’India a sud di quella città era governata di fatto dalla sala riunioni di un consiglio di amministrazione nella city di Londra. “ Che onore ci rimane “ chiese un funzionario moghul “ se dobbiamo prendere ordini da un pugno di mercanti che non hanno ancora imparato a lavarsi il sedere? “.
Si sente ancora dire che gli inglesi conquistarono l’India, ma questa frase cela una realtà più sinistra. Non fu il governo britannico che iniziò a dilaniare l’India, un pezzo alla volta, a metà del diciottesimo secolo, ma una società privata pericolosamente non regolamentata, basata in un piccolo ufficio di sole cinque finestre a Londra e gestita in India da un predatore aziendale violento, assolutamente spietato e, a tratti, mentalmente instabile: Robert Clive. La transizione dell’India al colonialismo avvenne per mano di una società a scopo di lucro, che operava al solo fine di arricchire i suoi investitori.
William Dalrymple, Anarchia