lunedì 20 febbraio 2012

ostriche e cozze




" Tradizionale sinonimo di scarsa avvenenza, le cozze sono a tutti gli effetti un sottoproletariato acquatico, una folla indistinta, nera, aggrovigliata. Brutta, sporca, ma non cattiva. Nulla  a spartire con le blasonate ostriche che irrompono sulla scena della tavola adagiate su sontuosi plateau di ghiaccio e precedute dai loro nomi, altisonanti come titoli gentilizi. Belon, Rocher de Cancale, Fine de Claire, Oléron. Massimo dodici, mai meno di tre. I loro calibri si contano con inesorabile scrupolo, come i quarti di nobiltà. Mentre le cozze, oscure e generose, si comprano a chili, a retine, e in Francia addirittura a litri. E a Napoli, dove l'impossibile è nell'aria, persino usate. A Venezia le chiamano con l'appellativo poco lusinghiero di peoci, che a Trieste diventa pedoci. Ma il risultato non cambia, si tratta sempre e comunque di pidocchi. Una moltitudine anonima di mitili ignoti. Pronti però a buttarsi nel fuoco per la gioia delle nostre papille. Il loro sacrificio ha arricchito la cucina povera italiana di capolavori assoluti come la partenopea pasta e fagioli con le cozze, come le tielle di Gaeta, i sontuosi stanati pugliesi,che sposano ai frutti di mare riso, zucchine e patate. E, last but not least, le seducentissime cozze crude, redente dalla esperidea purezza del limone che ne esalta la nuda sensualità da peccatrici pentite."                                
                                                                              Marino Niola, Si fa presto a dire cotto

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