mercoledì 16 gennaio 2013









" Chi strillava dal tetto, su una botte, sul pozzo, tutti al massimo della loro gloria, rampanti e razzolanti in campo altrui. Ce n'era di tutte le qualità, di tutte le razze, col piumaggio macchiato, screziato; galli d'oro, d'argento, galli nani, dal ciuffo; il petto in fuori, scarlatti in mezzo alle frasche, sul forno, sui mucchi di concio.
Erano i galli d'Amburgo coi calzoni di velluto, il Crèvecoeur dalla nera stirpe, i bei galletti bianchi come in origine, rimasti fedeli allo stemma del proprio uovo.
Non si vedevano, si richiamavano alla cieca nel buio, da un campo all'altro, distanti: vecchi gallacci coi pugnali in fuori e le brache cadenti, sudici come briganti; i grossi galli croati, scodati, venuti per mare; gl'inglesi dai lunghi passi. 
Si sapevano tutti: non s'erano mai visti, si riconoscevano al grido: quel sacripante lassù dalle cosce vigorose e le grandi ali nere, gli araldi dal mantello dorato. Se qualcuno mancava era perché era caduto sul campo, perché cotto alla diavola.
Da tutte le fattorie, le osterie, le ville, le case, eran dieci, eran cento, eran mille; tutti commestibili e con la corona in testa a tre, sei, nove punte, chi conte o visconte, chi principe o duca, la nobile genìa dei galli dalle infinite dinastie, sultani, atamani, malgravi, burgravi e pirati si tramandavan la diana a squilli di trombe".



Fabio Tombari    

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