venerdì 18 gennaio 2013









" Era una grande oca bianca, mangiona, con due cuscinetti di grasso sotto il ventre. Andava alla lattuga, al trifoglio, alla veccia, strappava il cuore alle erbe e s'addormentava per strada.
Si narrava che da giovane fosse stata innamorata di un cigno, che avesse covato per sbaglio un uovo di serpente. Al dire dei vecchi doveva avere quasi un secolo, più vecchia del castagno e del mugnaio, più antica del campanile e dei giuggioli, coetanea dei sorbi: un'oca immortale.
La lasciavano in vita un pò per curiosità, un pò per legato.
Insieme coi campi e col bosco appariva in due testamenti: il nonno l'aveva avuta dal padre e la donava al figlio perché la lasciasse ai nipoti.
Una volta, da giovane, lungo un rivo, aveva visto scendere dal cielo e avvicinarsi un grande uccello strano, odoroso di alghe e di sale. Lo rivide altre volte e tutte le oche del pascolo l'annunciavano con grandi schiamazzi di gioia. Arrivava sempre dal mare, solo, le ali sporche di fango, stracciate dai venti. Era un maschio selvatico e veniva per lei, per lei sola, dai confini del mondo. Ma ormai era vecchia, era tanto vecchia e non rammentava più.
Di tutta la sua esistenza non ricordava che maiali, sempre maiali, dappertutto maiali: dovunque c'era un pò di broda grassa da andarvi a frugare col becco, lì quasi sempre, o poco distante, c'era di sicuro un maiale. E li odiava.
Lei sempre bianca, elegante, li vedeva sudici, obesi. Lei sempre in traffico ad annaspare fra le pozze e le stalle, e loro fermi, mezzo schiacciati, inutili.
Né avrebbe mai sospettato, oca com'era, che i maiali muoiono giovani quasi quanto le rose".



Fabio Tombari  

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