domenica 26 maggio 2013

elogio della cartaccia ( ligure )



Credetemi, in Liguria, il pesce al cartoccio è storia di ristoranti con clientela straniera e non da cucine di casa, e comunque è una faccenda di cuochi svogliati e clienti di salute malferma e impreciso olfatto. Se uno mette le mani su del pesce davvero fresco, e pesce di quello vero, pescato e non raccolto in un orto di mare, non è così stupido da incartarlo ma gli toglie un pò di buzzo e lo sbatte su una gratella che è ancora madido di acqua di mare. E se per caso il pesce è della pezzatura giusta, se è triglia o acciuga o boga o occhiatella, o pignéi ( novellame ) allora gli appetenti in salute si danno alla frittura. Che modo migliore non c'è, perché la frittura nobilita una suola di scarpa se è il caso. Quelli del cartoccio dicono che fa male, lo dicono perché fa male al cuoco, essendo la cottura più difficile e delicata. Lo ripetono i dietologi che hanno in odio il bene e il buono a causa di madri senza cuore che friggevano nell'olio di morchia. Detto ciò, se non al cartoccio, la frittura è certamente cottura alla cartaccia. La cartaccia gialla, la spessa, ruvida carta da macellaio, non l'orribile e insipido scottex. E come riceve, la carta dà, e il profumo di una frittura è anche vivido sentimento del suo inconfondibile afrore. Per questo va servita e consumata nella cartaccia. Una cartata di acciughe, o di trigliette e pignéi, questo è il tipico piatto ligure che dovrebbe essere dichiarato patrimonio dell'umanità.



Maurizio Maggiani   

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